Era il 2012 quando, insieme alla collega Paola Bocci, si cominciava a ragionare di street art, writing, arte pubblica, cercando un confronto con quei mondi per cogliere esigenze e aspettative, per comprendere fino in fondo la natura dei conflitti, i dialoghi mancati, le opportunità sprecate, il rebus di un mondo multiforme, che il centrodestra di governo a Milano aveva saputo guardare per così tanti anni solo con le lenti della repressione. Insomma, per capire e per provare a costruire politiche diverse, ferme nella condanna dei fenomeni vandalici ma finalmente libere dai pregiudizi, centrate sulla valorizzazione del talenti, sulla creazione di opportunità, sullo stimolo all’imprenditoria artistica culturale e sulla libertà di espressione. Non solo: consapevoli e non schiavi della complessità (e del fascino) di questo fenomeno, in cui i confini tra lecito e proibito si sovrappongono di continuo, imponendo a chi amministra di sperimentare soluzioni non banali, lontane dal bianco o nero di chi non riesce ad andare oltre alla logica dei “buoni o cattivi”.
Lo avevamo detto, nel novembre del 2014, che serviva una svolta.
Lo avevamo scritto nero su bianco su un ordine del giorno [leggi], lo avevamo fatto discutere al Consiglio [guarda il video del mio intervento] e lo avevamo approvato (con i voti della maggioranza). Era diventato l’indirizzo politico dell’Amministrazione sulle politiche legate alla street art. Mica poco.
Oggi quell’atto di indirizzo diventa un atto esecutivo: una delibera (firmata dagli assessori Rozza e Granelli, che vanno ringraziati per la tenacia) che lancia una scommessa.
Istituisce i “muri liberi”. Circa 100 superfici, completamente autogestite.
Cavalcavia, muri di recinzione, sottopassi e sovrappassi che potranno essere liberamente dipinti da chiunque, senza il rischio di essere sanzionati [qui la lista].
Una scommessa, certo, perché il successo dell’iniziativa non è scontato. Dipenderà da quanto le crew storiche, i ragazzi più giovani, le associazioni culturali e tutti quelli che vorranno metterci un po’ della loro vernice, vorranno cogliere questa occasione e dimostrare maturità nella gestione autonoma delle superfici. Un po’ come succedeva anni fa, con le “wall of fame”, palestre autogestite per i ragazzi, diventate nel tempo testimonianze di altissimo valore artistico.
Noi ci crediamo, perché in fondo questo provvedimento non nasce dall’alto, ma anzi è frutto di un confronto durato anni con tanti artisti della città (che non finiremo mai di ringraziare). Crediamo quindi che risponda davvero, con uno strumento innovativo, ad un’esigenza concreta. E crediamo che sia anche una risposta politica, finalmente. Una risposta coraggiosa.
Oggi è un giorno di soddisfazione, ma non finisce certo qui. Resta tantissimo ancora da fare e i fronti di lavoro aperti sono davvero numerosi: dal ruolo della street art nella riqualificazione dello spazio urbano alla progettazione delle modalità di intervento sulle facciate cieche della città o nei mezzanini della metropolitana. Dalla riflessione sulle migliori modalità di finanziamento degli interventi di arte pubblica, fino alle necessità di regolare, in prospettiva futura, un’offerta di progetti che comincia finalmente a crescere in modo significativo.
Chi vuole partecipare al dibattito, contribuendo a scrivere un pezzo delle nostre politiche per il futuro, è il benvenuto.