Ecco il video e la trascrizione dell'intervento che ho fatto oggi in aula.
Buona visione e buona lettura!
Siamo usciti tutti un po’ provati dalle nottate di fine luglio, non solo perché abbiamo approvato una delibera difficile, ma anche perché abbiamo assistito a un certo modo di fare politica, a un certo modo di fare opposizione, a un certo modo di vivere l’aula.
Non vi posso nascondere che quei giorni mi hanno lasciato addosso una profonda sensazione di disagio e una sincera preoccupazione per il futuro. Forse molti di voi ci avranno fatto l’abitudine, ma vi garantisco che entrare qui dentro e vedere che il dibattito è spesso un finto dibattito, e che nessuno ascolta nessuno perché nessuno dice niente, è uno spettacolo che definirei quasi angoscioso.
E mi perdonerete, mi perdoneranno in particolare i colleghi più anziani, se questo intervento potrebbe suonare come un segnale di presunzione. Niente affatto. È la semplice opinione di un ventitreenne che ha ancora la voglia e la determinatezza di dire che c’è-qualcosa-che-non-funziona. E peraltro, guarda caso, è l’opinione comune di moltissimi colleghi, non necessariamente giovani, che sono alla prima esperienza in quest’aula. “L’ingenuità”, si dice a volte…
E non vi posso, e non vi voglio nascondere il mio sconcerto, quando ho assistito alla confessione di un consigliere della vostra minoranza, che sorridente e addirittura divertito, diceva a un mio collega di maggioranza che se foste stati voi al governo di questa città avreste dovuto, per forza di cose, introdurre l’addizionale Irpef, e noi, dai banchi dell’opposizione, avremmo replicato lo stesso teatrino ostruzionista che avete messo in scena voi.
Ma... vi sembra una cosa normale? No, davvero, fermiamoci un attimo perché poi nella confusione sembra quasi che i meccanismi cerebrali si inceppino e poi ci illudiamo che sia normale quello che normale non è affatto.
E, permettete, io mi sono già stufato delle pacche sulle spalle e degli sguardi quasi pietosi che tutti i consiglieri più anziani, della mia parte politica e della vostra, mi rifilano, dicendo: “è sempre stato così, è la prassi!”, come a voler dire “cià, dai, lascia che ti insegni un po’ io come vanno le cose in politica”.
Io credo, è naturale, che il problema non sia opporsi a un provvedimento che non si condivide, ci mancherebbe altro. Il problema è il modo in cui lo si fa e l’alternativa che si propone. Il problema è il livello a cui si porta la discussione, e la serietà e la dignità con cui si sta qui dentro.
Vedete, spesso parlate – e parliamo – dell’allontanamento dei giovani dalla politica, del loro preoccupante disinteresse. Beh, mi vien da dire, sfido io a interessarsi. Sfido io, quando l’immagine che diamo, qui fuori da quest’aula, è quella di un luogo mortificato, svuotato, svilito del suo significato e del suo immenso valore democratico. E quello che dovrebbe essere il regno della dialettica democratica, io l’ho visto più spesso trasformarsi in un mercato del pesce, altro che democrazia.
E la mia critica, qui, va oltre le parti politiche. Non dimentico certo che spesso le opposizioni di centro sinistra, nel parlamento e nelle assemblee locali, hanno cavalcato le stesse identiche logiche.
Ma il punto è proprio questo. Perché non troviamo il coraggio, noi, qui e ora, di cominciare una rivoluzione nel modo di fare politica. È ambizioso, lo so, ma proviamoci qui, a Milano, adesso e insieme. D’altronde siamo solo all’inizio! Mettiamo da parte quello che è successo e cominciamo da capo. Con i giovani consiglieri in prima linea e insieme a tutti quelli che vorranno seguirci.
Perché non stringiamo un patto di onestà, un codice d’onore, con cui ci impegniamo a rispettare il nostro tempo e il nostro lavoro, a dibattere, magari anche a scontrarci, ma sempre con onestà e con serietà, impegnandoci per tenere sempre alto il livello della discussione. E allora sì, ripensiamo il regolamento ma ripensiamo anche ai nostri comportamenti, e al messaggio che lanciamo fuori di qui.
E ricordiamoci che la disaffezione, il malcontento, la rabbia della gente non passa solo, e non passa tanto dalle misure impopolari che una giunta è costretta a prendere, quanto dal clima politico che noi, temporanei rappresentanti di chi sta qui fuori, istauriamo qui dentro.
È per questo che mi auguro (e ci auguro) che la nuova stagione, che non è non solo quel partigiano “vento che cambia”, ma una trasversalissima necessità di serietà e di dignità, sia da oggi il nostro faro e la nostra comune intesa per proseguire i lavori negli anni che verranno.
Grazie.