Qualche giorno fa ho fatto un gioco.
Camminando in piazza del Duomo,
ho chiesto a una cinquantina di passanti se sapessero qual è il tema di
Expo 2015, il senso dell’evento, la ragione ultima per la quale più di
100 paesi e 20 milioni di visitatori si catapulteranno a Milano, tra
maggio e ottobre del 2015. Solo in sette sapevano, circa il 15 percento.
Senza alcuna pretesa di trarne un dato statisticamente significativo,
quello registrato è forse il sentimento di una città che si sente,
ancora e sempre più pericolosamente, esclusa e lontana dal comprendere
l’essenza di un evento che, secondo i piani, dovrebbe costituirsi come
un momento unico, straordinario e universale, volano per l’economia del
territorio (grazie ai 34 miliardi di euro di benefici economici e ai
70mila posti di lavoro stimati), nonché preziosa arena di confronto
sulle tematiche dell’alimentazione e dell’energia.
Senza dubbio, con “solo” ottocentocinquanta
giorni davanti, è naturale che il 2013, come più volte sottolineato
dall’ad di Expo Giuseppe Sala, sarà l’anno della verità, sotto tutti i
fronti. Per quanto riguarda i cantieri del sito espositivo, ad esempio,
oggi se ne contano tre, con circa 200 operai al lavoro: quello per
l’eliminazione delle interferenze (chiusura prevista nell’aprile 2014),
quello per l’allestimento del campo base per le maestranze, e infine
quello per la costruzione delle infrastrutture di base (la cd.
“piastra”, che dovrebbe concludersi nell’autunno del 2014). Sono state
chiuse 13 gare d’appalto e altre 6 sono in corso di aggiudicazione; a
stretto giro, poi, sono in arrivo almeno altri tre bandi fondamentali:
quello per il Media Center, l’Expo Center e le architetture di servizio,
per una spesa complessiva che supera i 100 milioni di euro. Entro la
fine del 2014 dovrebbero concludersi i lavori per i manufatti e le
infrastrutture, per poi sorgere, entro marzo del 2015, i padiglioni dei
Paesi partecipanti, che dopo la firma di Laos, Ordine di Malta e
Zimbabwe, hanno raggiunto quota 116.
Dal punto di vista del messaggio e dei contenuti, i passaggi sono ugualmente stretti e obbligati. Da una parte il mondo del no profit scalpita:
già nell’ottobre 2011, sotto un cappello che racchiude quasi 50
associazioni (tra cui Acli, Arci, Legambiente, Action Aid, Agesci, Mani
Tese, Oxfam, Save the Children, WWF), è stato lanciato il “manifesto per l’Expo dei popoli”,
che sintetizza una serie di contenuti, impegni e richieste per far sì
che l’appuntamento del 2015 possa essere valorizzato all’interno di un
percorso più ampio di consapevolizzazione intorno al valore dei beni
comuni, e di scelte politiche orientate allo sviluppo civile,
all’equità, alla lotta alla povertà.
Dall’altra, Comune e società
Expo sono accusati di una scarsa attenzione e di un colpevole ritardo.
Il punto di unione tra l’evento Expo e il mondo del no profit, oggi, si
chiama soprattutto cascina Triulza. Finalmente, dopo una lunga serie di
sollecitazioni, il 31 dicembre 2012 è stato emesso l’avviso pubblico
relativo all’ “individuazione del concessionario del servizio di
gestione e valorizzazione dell’immobile”, con cui verranno selezionati i
soggetti del Terzo Settore che, per il periodo dell’Expo, saranno
responsabili della gestione e della valorizzazione della cascina,
attraverso una serie di eventi e attività finalizzate ad alimentare il
dibattito sul tema dell’agricoltura, della nutrizione e della
sostenibilità.
Ma già un mese prima, durante la seduta della commissione Expo del Comune di Milano, Sergio Silvotti,
portavoce del Forum del Terzo Settore, aveva evidenziato le enormi
difficoltà che le associazioni avrebbero dovuto affrontare nel reperire
per tempo i finanziamenti da banche e sponsor, di fronte al grave
ritardo della società nel pubblicare il bando. Già, perché se la
ristrutturazione dell’immobile è interamente a carico della società
Expo, i costi della programmazione saranno invece a carico del gestore,
che potrà (e dovrà) avvalersi di sponsorizzazioni e finanziatori terzi.
Un ulteriore nodo ancora da sciogliere, che crea malumori e
preoccupazioni nel mondo del no profit, è quello della durata della gestione,
e quindi, di riflesso, della sostenibilità economica della stessa. Se
da una parte infatti il bando prevede una collaborazione a tempo
determinato (i sei mesi di Expo), le associazioni vorrebbero invece
avere garanzie dal Comune del fatto che cascina Triulza rimarrà, nel
dopo Expo, polo del volontariato e del no profit, nonostante la già
prevista apertura, nel 2014, di “Vo.Ce”, la nuova Casa del Volontario in zona Repubblica.
Paolo Petracca,
presidente delle Acli provinciali di Milano nonché referente per “Expo
dei Popoli”, si dice “diviso tra un sentimento di speranza e di
disperazione, scoraggiato dallo scarso interesse dimostrato dalle
istituzioni rispetto a tematiche così importanti per l’umanità, che pur
sono state sostenute a livello di protocolli di intesa, ma comunque
speranzoso per i prossimi passi da fare insieme”. Insieme, e con
decisione, pena un Expo di strade, canali e grattacieli, ma privo
dell’ingrediente più importante: la forza di un messaggio dirompente che
faccia emergere in ciascuno il senso di urgenza nel costruire un mondo
sostenibile ed equo, ora.
[da Unimondo.it]
Anch'io devo ammettere un bel po' di colpevole ignoranza in materia.
RispondiEliminaMa con questo articolo non è che abbia capito molto, cioè, non credo di aver capito davvero "a che punto siamo". Ieri è stato arrestato Mantovani. Periodicamente vengono pubblicati articoli allarmanti su quanto siamo rimasti indietro in tutti i fronti.
Ma soprattutto: questo terribilmente probabile stallo governativo in che misura può influire?