Carlo Martini, da "Conversazioni notturne a Gerusalemme"
Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo. Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, sopattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa.
Franco Bomprezzi, da blog.vita.it (http://blog.vita.it/francamente/2012/08/31/grazie-cardinal-martini/)
Se c’è un modo dolce e dignitoso di morire, ce lo ha indicato il cardinal Martini. Un lento e socratico incedere verso l’ultimo passaggio, il più misterioso. Annunciandolo, come ha fatto sulle colonne del Corriere della Sera, e poi accomiatandosi dalla scena pubblica. Fino all’ultimo respiro, senza sofferenza, senza accanimento.
In pochi giorni due lezioni morali di altissimo spessore sono state impartite all’umanità. La prima, laica e razionale, sul mistero della vita, è venuta dallo stadio di Wembley, dove l’astrofisico Stephen Hawking ci ha invitato a guardare le stelle nel cielo e non le nostre scarpe, aprendo le Paralimpiadi, e scrutando, con la sua voce sintetica, l’inesplicabile segreto delle mille differenze di corpi, menti e spiriti, ossia le possibili disabilità, accadimenti che rientrano in una legge universale, difficile da decifrare, prima ancora che da accettare.
Oggi la lezione arriva da un maestro della Chiesa cattolica, una persona capace di parlare a credenti e non credenti con uguale carisma, con forza impressionante e semplicità icastica di linguaggio e di stile. La notizia della sua morte dovrebbe essere accolta in silenzio. In preghiera per chi ha fede. In meditazione per chi non riesce a trovare Dio in questo mondo.
Non comprendo, dunque, la disputa stucchevole sul tema dell’accanimento terapeutico. Non posso immaginare che l’anziano cardinale, dopo una vita gloriosa e ricca di accadimenti, di incontri, e di pensiero positivo, possa volere una divisione rissosa sul significato evidente della sua decisione di lasciare corso alla vita e alla morte, secondo natura.
La morte meriterebbe più rispetto e considerazione da parte di tutti noi, che siamo di passaggio, ma non vogliamo comprenderlo. Ci rifiutiamo di accettarla per noi stessi, e anche per i nostri cari. Vorremmo che mai accadesse, non sopportiamo il lutto, e fatichiamo a rassegnarci di fronte alle sentenze dei medici, o all’evidenza degli anni che avanzano. E invece la morte è solo un attimo inspiegabile. Una soglia imperscrutabile, che ci riguarda come esseri umani, senza possibilità di rimedio.
Accettare la morte è fondamentale, mai come in questa fase dell’evoluzione del mondo, quando la tecnologia, la scienza, la ricerca, sembrano fare a gara per prolungare il sogno di un’esistenza senza fine, senza limiti. Il cardinale Carlo Maria Martini non ci ha imposto nulla, ci ha solo indicato la strada più larga e ombrosa, confortevole e serena.
Per chi ha fede la morte non dovrebbe rappresentare una tragedia, ma solo un passaggio. Per chi vive nel dubbio o nella certezza dell’inesistenza di un disegno divino, la morte non dovrebbe essere altro che la cessazione di un agglomerato di cellule, preludio del nulla e quindi accettabile senza il terrore di un “dopo” che non ci sarà.
La morte, più che la vita, ci dovrebbe appagare e unire nel rispetto e nel silenzio. Durante la vita abbiamo già molto da fare, da realizzare, da progettare. Diamoci almeno la mano davanti a quest’uomo di pace e di amore. Universale.
Arrivederci Cardinale.