venerdì 31 agosto 2012

Arrivederci Cardinale

Non essendo in grado di fare di meglio, cerco di prendere in prestito le parole giuste. Lo stesso Carlo Martini, prima. Franco Bomprezzi, poi.

Carlo Martini, da "Conversazioni notturne a Gerusalemme"
Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà, una Chiesa che non dipende dai poteri di questo mondo. Una Chiesa che dà spazio alle persone capaci di pensare in modo più aperto. Una Chiesa che infonde coraggio, sopattutto a coloro che si sentono piccoli o peccatori. Sognavo una Chiesa giovane. Oggi non ho più questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa.

Franco Bomprezzi, da blog.vita.it (http://blog.vita.it/francamente/2012/08/31/grazie-cardinal-martini/)
Se c’è un modo dolce e dignitoso di morire, ce lo ha indicato il cardinal Martini. Un lento e socratico incedere verso l’ultimo passaggio, il più misterioso. Annunciandolo, come ha fatto sulle colonne del Corriere della Sera, e poi accomiatandosi dalla scena pubblica. Fino all’ultimo respiro, senza sofferenza, senza accanimento.
In pochi giorni due lezioni morali di altissimo spessore sono state impartite all’umanità. La prima, laica e razionale, sul mistero della vita, è venuta dallo stadio di Wembley, dove l’astrofisico Stephen Hawking ci ha invitato a guardare le stelle nel cielo e non le nostre scarpe, aprendo le Paralimpiadi, e scrutando, con la sua voce sintetica, l’inesplicabile segreto delle mille differenze di corpi, menti e spiriti, ossia le possibili disabilità, accadimenti che rientrano in una legge universale, difficile da decifrare, prima ancora che da accettare.
Oggi la lezione arriva da un maestro della Chiesa cattolica, una persona capace di parlare a credenti e non credenti con uguale carisma, con forza impressionante e semplicità icastica di linguaggio e di stile. La notizia della sua morte dovrebbe essere accolta in silenzio. In preghiera per chi ha fede. In meditazione per chi non riesce a trovare Dio in questo mondo.
Non comprendo, dunque, la disputa stucchevole sul tema dell’accanimento terapeutico. Non posso immaginare che l’anziano cardinale, dopo una vita gloriosa e ricca di accadimenti, di incontri, e di pensiero positivo, possa volere una divisione rissosa sul significato evidente della sua decisione di lasciare corso alla vita e alla morte, secondo natura.
La morte meriterebbe più rispetto e considerazione da parte di tutti noi, che siamo di passaggio, ma non vogliamo comprenderlo. Ci rifiutiamo di accettarla per noi stessi, e anche per i nostri cari. Vorremmo che mai accadesse, non sopportiamo il lutto, e fatichiamo a rassegnarci di fronte alle sentenze dei medici, o all’evidenza degli anni che avanzano. E invece la morte è solo un attimo inspiegabile. Una soglia imperscrutabile, che ci riguarda come esseri umani, senza possibilità di rimedio.
Accettare la morte è fondamentale, mai come in questa fase dell’evoluzione del mondo, quando la tecnologia, la scienza, la ricerca, sembrano fare a gara per prolungare il sogno di un’esistenza senza fine, senza limiti. Il cardinale Carlo Maria Martini non ci ha imposto nulla, ci ha solo indicato la strada più larga e ombrosa, confortevole e serena.
Per chi ha fede la morte non dovrebbe rappresentare una tragedia, ma solo un passaggio. Per chi vive nel dubbio o nella certezza dell’inesistenza di un disegno divino, la morte non dovrebbe essere altro che la cessazione di un agglomerato di cellule, preludio del nulla e quindi accettabile senza il terrore di un “dopo” che non ci sarà.
La morte, più che la vita, ci dovrebbe appagare e unire nel rispetto e nel silenzio. Durante la vita abbiamo già molto da fare, da realizzare, da progettare. Diamoci almeno la mano davanti a quest’uomo di pace e di amore. Universale.

Arrivederci Cardinale.


venerdì 3 agosto 2012

Le (ottime) ragioni di Area C

Il testo di un mio arcticolo apparso su "Qualcosa di Riformista" pochi giorni fa.

Interesse privato, autorimessa, congestione. Basterebbero tre o quattro parole chiave da incrociare più o meno casualmente su un motore di ricerca per ricostruire con buona fedeltà il furioso dibattito scatenatosi attorno alla sentenza del Consiglio di Stato sulla sospensione di Area C, il provvedimento anti-congestione attivato sei mesi fa dal Comune di Milano per limitare gli accessi nel centro cittadino.
Certo, quando si tratta di sentenze commentare è lecito ma rispettare è d'obbligo, anche quando, come in questo caso, si fa proprio fatica a capire. Fatica a comprendere, fatica a digerire le motivazioni della sentenza: "carenza di riferimenti nella pianificazione delle politiche per la mobilità" e "presunta lesione dell'interesse economico del soggetto ricorrente". Così si legge.
Ma andiamo con ordine. La pianificazione, prima di tutto. È vero, l'aggiornamento del Piano Urbano della Mobilità non è stato ancora completato. Si sta lavorando all'affinamento delle linee guida che verranno votate a breve in Consiglio Comunale, ma formalmente l'ultimo riferimento utile è il piano del traffico redatto nel 2003 dall'allora Sindaco Albertini (lo stesso che, sul Corriere, si schiera apertamente a sostegno di Area C). La questione, comunque, è oggettivamente intricata. Ne è una dimostrazione il fatto che su questo stesso tema, solo cinque mesi fa, il Tar, con la sentenza che respingeva la richiesta di sospensiva di area C, si esprimeva in maniera diametralmente opposta: "l'istituzione di Area C trova aggancio nelle previsioni contenute nel piano generale del traffico urbano approvato nel 2003" e "per tale ragione non sembrano profilarsi violazioni…".
Ma veniamo al secondo aspetto, la decisione di tutelare l'interesse del privato a fronte di una serie di benefici per la collettività in termini di minor congestione (-34% di auto in centro, -7% in periferia) e maggiore vivibilità urbana. Innanzitutto, la lesione dell'interesse economico dei proprietari di autorimesse è tutta da verificare: in generale, a fronte di una sosta in superficie ancora troppo selvaggia, i garage risultano relativamente vuoti e dunque con buoni margini di incremento dei ricavi. Non è detto quindi che il calo in termini assoluti degli accessi in centro determini un calo della sosta nei garage. La recente convenzione tra il Comune ed alcuni autosilo cerca proprio di porre rimedio a questo paradosso. Ma se anche il danno economico fosse confermato, far prevalere questo tipo di interesse privato rispetto a quello pubblico sarebbe come dire che bisogna fare la guerra per tutelare i produttori d'armi: semplicemente insensato.
Aspettando la sentenza del Tar che si esprimerà definitivamente nel merito, oggi abbiamo l'occasione per rilanciare con forza le politiche di mobilità sostenibile in chiave metropolitana, su cui si gioca il futuro della nostra città. Ingredienti necessari: coraggio, lungimiranza, occhi bene aperti all'Europa, ma anche equilibro e realismo. Su Area C, che chiaramente è solo uno dei tasselli, si studiano soluzioni migliorative "al rialzo". Se un'estensione alla cerchia filoviaria non sarebbe forse sostenibile vista la minor capillarità dei mezzi pubblici in periferia, un'espansione "a macchie" in alcuni quartieri specifici potrebbe essere la soluzione migliore. È chiaro che l'equilibrio è delicatissimo: servirebbero ingenti investimenti proprio mentre il quadro finanziario, già preoccupate, è aggravato dalle previsioni di pesanti tagli nazionali sul trasporto pubblico. Ma è proprio in questo passaggio strettissimo che Area C misura la sua forza: la congestion charge ha dimostrato di generare risultati importanti, sia in termini di flussi di mobilità sia in relazione al trasferimento di risorse monetarie da chi usa l'auto a chi decide (magari anche con qualche sacrificio) di muovesi in maniera diversa. 30 milioni, al di là di tutto, sono un risultato straordinario: liberare risorse per finanziare provvedimenti che impattano in modo determinante sulla qualità della vita delle persone diventa cruciale, e con Area C ci stiamo riuscendo.