Un anno fa, il 10 maggio, abbiamo riempito la piazza della Stazione con quello straordinario concerto, "Milano libera tutti". Decine di migliaia di giovani a cui abbiamo chiesto impegno e promesso un cambiamento. Siamo riusciti, malgrado le difficoltà, a mantenere molti impegni presi. So anche pero' che su altri siamo in ritardo. Per questo ho deciso di impegnarmi personalmente e di prendere in mano direttamente una questione che non puo' aspettare. Milano deve offrire spazi, ospitare la creativita' e lo spettacolo, le arti e la musica. Apprezzare cio' che nasce spontaneamente, ascoltarlo, capirlo e offrire risposte. Diritti e regole. (Giuliano Pisapia)Macao è un posto oggettivamente incredibile. Trentatrè piani di cemento acciaio e vetro, proprietà del gruppo Ligresti (lo ha acquistato nel 2006 per 48 milioni di euro) e trasformati dopo più di dieci anni di abbandono (in attesa dei lavori di ristrutturazione che dovrebbero partire a breve) in un laboratorio artistico popolare.
E' vero, la trasversalità e il numero di soggetti competenti che stanno cooperando dentro Macao è un dato di fatto da cui non si può prescindere.
Un dato che è un sintomo e un segnale. La fame di spazi vivi, autoorganizzati e partecipati, per fare arte e cultura non necessariamente entro le logiche d'impresa. La necessità di dare risposte ai bisogni non soddisfatti dagli spazi e dalle istituzioni culturali di oggi.
Da questo punto di vista, Macao è un luogo meraviglioso perchè rende possibile questo sogno: spazi enormi a basso costo (anzi, gratis), autogestione, aggregazione, visibilità.
Ma c'è un difetto, un errore di fondo che è tanto banale quanto cruciale.
La torre Galfa è un edificio privato e l'occupazione abusiva è un reato. Punto. Non c'è scappatoia, non c'è via d'uscita.
Il proprietario ha legittimamente richiesto lo sgombero e quell'edificio verrà sgomberato.
Macao peraltro chiede al Comune di opporsi, di difendere il progetto, di cercare una soluzione per frenare le volontà del gruppo Ligresti, ma è evidente che l'Amministrazione non ha alcuno strumento per infilarsi in una vicenda tra privati, anche se lo volesse.
E allora se Macao, com'è presumibile, avrà vita breve, c'è da pensare (tutti e subito) a cosa fare quando la torre tornerà inevitabilmente ad essere solo un enorme parallelepipedo di grigia anonimia. Perchè se è vero che il Comune non può tollerare un'occupazione abusiva, può invece (e deve!) cogliere i tratti più positivi del movimento che Macao ha aggregato attorno a sè.
Nel concreto, questa è indubbiamente la parte più interessante e complessa.
Macao chiede al Comune di "mettersi in ascolto di questa esperienza inedita, cogliendone le potenzialità, anche prendendosi un tempo per capire e formulare un nuovo vocabolario istituzionale e giuridico". Al di là delle belle circonvoluzioni linguistiche, "formulare un nuovo vocabolario istituzionale e giuridico" significherebbe di fatto uscire dalla logica dei bandi per l'assegnazione degli spazi pubblici, per trovare soluzioni più simili all'assegnazione diretta. Soluzioni dunque che prescindano da un meccanismo premiante in senso stretto ma trovino invece legittimità nella volontà politica di favorire questo o quell'altro gruppo portatore di un sistema di valori ritenuto culturalmente (e politicamente) meritevole di spazio e di tutela.
Questa logica, a mio avviso, è pericolosa per almeno due ragioni.
Prima di tutto perchè si creerebbe un precedente per cui si potrebbe giustificare "politicamente" qualsiasi assegnazione diretta di spazi pubblici a un qualsiasi soggetto che a seconda del vento politico venga ritenuto "meritevole".
In secondo luogo perchè gli spazi (pubblici) sono pochi, e se sono pochi è doveroso fare in modo che se li aggiudichino i più meritevoli, e i meritevoli non li si può scegliere se non con dei criteri di merito, esattamente quelli che -seppur con tutti gli aggiustamenti possibili- sono contenuti in un bando pubblico.
Si chiama trasparenza, si chiama legalità, si chiama parità nelle condizioni di accesso ai beni e agli spazi pubblici. Altrimenti a vincere è la regola del più forte, la stessa che tanto osteggiamo quando ci fa comodo.
Oggi in tanti guardiamo a Macao con gli occhi pieni di emozione perchè ci regala il sogno di una città che può appropriarsi dei suoi grattacieli e dal tetto gridare la propria fame di cultura, di arte, di pensiero e di libertà. Ma non possiamo dimenticarci nemmeno per un secondo che oggi siamo titolari di una cosa che si chiama responsabilità di governo, e responsabilità significa anche far sì che i sogni più meravigliosi possano realizzarsi nel rispetto della legalità e premiando le idee migliori e i meriti, che non sono necessariamente quelli urlati più forte.
Quando la torre sarà di nuovo vuota, sarà il nostro turno. Dovremo far rivivere lo spirito di Macao altrove, dando risposta a quei bisogni, mettendo i "lavoratori dell'arte" (e non solo loro!) nelle condizioni di partecipare a bandi-progetto per dare nuova vita agli spazi della nostra città senza ledere i diritti di nessuno.
Non sono parole vane, non sono perbenismo o benpensare come qualcuno si affretta a dire.
Sono coerenza e realismo, forse i migliori ingredienti da impastare assieme ai sogni più belli per dar loro forma, colore e lunga vita.